La prematura scomparsa di Ida Ruberti

La prematura scomparsa di Ida Ruberti
Il Presidente Gilberto Corbellini e la Fondazione Antonio Ruberti si uniscono al dolore dei familiari per la prematura scomparsa di Ida Ruberti, consigliere e socio fondatore, avvenuta lo scorso 8 giugno. Ida era ricercatore (Dirigente di Ricerca) del CNR di riconosciuta fama internazionale. Fin dalla nascita della Fondazione, Ida Ruberti aveva contribuito con passione alla progettazione e realizzazione delle attività.

Il ricordo di Gilberto Corbellini


A me capita, e di sicuro a molti, di usare l’espressione “è una bella persona”. L’esempio vivente di cosa intendo con quell’espressione, senza bisogno di dare descrizioni e definizione, era Ida Ruberti, scomparsa sabato scorso. Non sarei in grado di parlare di Ida come ricercatrice in diversi ambiti di frontiera della biochimica e della biologia molecolare, anche se conosco indirettamente il suo lavoro: ha studiato i meccanismi della regolazione genica e processi di crescita e sviluppo delle piante, ed ha effettuato ricerche nell’ambito della genomica funzionale delle piante e systems biology. Qualcosa posso dire di lei come scienziata guidata da un forte senso civico e persona di vaste curiosità intellettuali, che aveva ereditato dal padre un’idea della scienza come cultura, più che come mera professione o strumento di carriera.

L’ho conosciuta relativamente tardi, nel 2007, in occasione di un convegno sulla percezione pubblica e politica delle biotecnologie vegetali. Da quel momento, con lei e Giorgio, la discussione è stata costante, soprattutto sulle cause dei ritardi o le debolezze della politica della ricerca in Italia. In particolare, abbiamo spesso commentato i tragici errori commessi da politici e governi che non capivano, uno dopo l’altro e a prescindere dai colori, l’opportunità che le biotecnologie vegetali rappresentano per il sistema della ricerca e per l’economia agricola del paese. Non dimenticherò le espressioni di sconforto nei suoi occhi e il sorriso di ironica commiserazione quando, spesso sedendo al bar con davanti un caffè, discutevamo le ragioni delle somaraggini in materia di scienza e metodo scientifico, ma anche di cultura più in generale, che circolano nei media o in parlamento. E persino nelle università e negli enti pubblici di ricerca.

Ida incarnava sia un’incredibile tenacia nel perseguire gli obiettivi che riteneva strategici, sia una naturale disposizione pedagogica. Era molto paziente e sapeva ascoltare. Aveva un forte interesse per la divulgazione scientifica e la diffusione della cultura scientifica nelle scuole. Quando fu lanciato dalla Senatrice a vita Elena Cattaneo Unistem Day, per divulgare nelle scuole superiori le conoscenze di base e di metodo della ricerca sulle cellule staminali, mi chiese di verificare se la Fondazione Antonio Ruberti potesse aiutare nell’organizzazione. E la Fondazione è stata negli anni presente. Un argomento che le stava a cuore era la discussione sulla possibilità di dotare Roma di un Museo della Scienza. Un tema che aveva già impegnato il padre ai tempi dell’amministrazione capitolina di Rutelli. Nel 2010 decidemmo di invitare a tenere la IX Antonio Ruberti Lecture, Jorge Wagensberg, forse il più brillante museologo della scienza, creatore e direttore, a Barcellona, di CosmoCaxia, un originale e intelligente museo della scienza che combina scienza, tecnologia, cultura e divertimento in modi eccellenti. Ida era orgogliosa delle attività della Fondazione Antonio Ruberti, che voleva coinvolta nella discussione pubblica sulla valorizzazione e la politica della scienza, ovvero impegnata a portare in Italia i temi di frontiera della comunicazione pubblica della scienza e a stimolare la discussione interdisciplinare. Riteneva altresì caratterizzanti, le attività della Fondazione volte a studiare e valorizzare la cultura storico-scientifica.

Ho conosciuto centinaia di scienziati, ma pochi, con le competenze specialistiche molto mirate e di eccellenza come quelle che aveva Ida, interessati, che si avvicinavano con una mentalità davvero aperta (come dovrebbero sempre fare gli scienziati) alle ricerche e alle analisi della comunicazione e divulgazione prodotte da ambiti non strettamente scientifici. Ida era incuriosita, quando gliene parlavo, dagli studi e dalle scoperte sulle dinamiche psicologiche e sociali della comunicazione scientifica, mentre di solito gli scienziati credono presuntuosamente di sapere già tutto, in quanto scienziati.

Fino a metà maggio aveva seguito di persona il caricamento del filmato dell’XI Antonio Ruberti Lecture, alla cui organizzazione aveva partecipato. Il relatore, il linguista computazionale olandese Rens Bod, che ha scritto un formidabile libro sulla storia delle humanities, già tradotto in una decina di lingue, l’avevamo deciso insieme. Avevamo discusso circa un anno fa quale potesse essere l’ambito e il tema di interesse e richiamo da trattare, ed eravamo d’accordo che la Fondazione Antonio Ruberti, che promuove le conferenze, dovesse impegnarsi nel proporre tematiche non scontate, di ricerca interdisciplinare e orientate a migliorare la percezione culturale e sociale della ricerca. Quale tema più interessante di un vasto studio che dimostra e spiega, contro i luoghi comuni persistenti, gli stretti rapporti storico-cognitivi tra discipline umanistiche e scienze sperimentali?

Mi mancheranno le sue telefonate e messaggi che iniziavamo regolarmente così: “Ciao, come stai? Riusciamo nei prossimi giorni a prendere un caffè e a fare una chiacchierata?” Abbiamo fatto cose interessanti insieme e molte chiacchierate. Un tema di cui abbiamo discusso più volte, e anche alcuni mesi or sono, era di organizzare qualche evento per riprendere in considerazione l’evoluzione che ha avuto nel tempo l’idea di “capitale immateriale”, su cui Antonio Ruberti aveva scritto e che oggi ritorna sotto varie forme nei lavori di economisti e psicologi sociali. Mi addolora che questa chiacchierata intellettuale, come altre, si sia interrotta.

Attraverso le attività di ricerca, di formazione e di gestione nell’ambito delle scienze sperimentali, Ida ha lasciato un importante esempio del fatto che fare scienza implica una dimensione di impegno civile e integrità, che non sono separabili dalla qualità dei risultati che si producono. La curiosità intellettuale e l’apertura mentale che hanno caratterizzato le sue capacità di creare reti di rapporti culturali e personali sono tratti altrettanti significativi, dai quali chi negli anni ha dialogato con lei potrà sempre trarre insegnamenti.

Roma, 10 Giugno 2019

Gilberto Corbellini

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